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Corporate performance management: cos’è e perché è importante

In un’azienda quando parliamo di controllo di gestione intendiamo tutti quei processi e quelle operazioni che hanno come scopo di guidare l’azienda verso il conseguimento degli obiettivi stabiliti nella redazione della propria pianificazione operativa e del proprio business plan. Nello specifico il controllo di gestione misura i successi operativi, ma anche lo scostamento tra gli obiettivi prefissati ed i risultati conseguiti – quando tali obiettivi restano disattesi – e pianifica eventuali strategie per correggere il tiro e applicare le opportune azioni correttive.

Questo processo deve essere visto come un processo circolare in quanto il controllo di gestione deve portare dei contribuiti anche alla redazione dei futuri business plan mediante l’individuazione di obiettivi raggiungibili, concreti e reali.

Strumento fondamentale per il controllo di gestione è il corporate performance management, ovvero quell’insieme di processi che permette la raccolta, la gestione, ed i controllo dei dati relativi alle performance aziendali in relazione con gli obiettivi che l’azienda si è preposta.

Il corporate performance management quindi comprenderà l’analisi dei dati relativi al budgeting, al planning e al forecrasting, l’analisi di proaffittabilità e ottimizzazione, i processi di dashboard, scorecard e consolidamento, e degli importanti report relativi a tutti questi dati.

Per l’elaborazione di piani di budget e previsioni il software agirà attraverso un motore implementativo del modello finanziario che è integrato con delle previsioni di clash flow e con i profitti e le perdite relativi al bilancio.
Inoltre un software di corporate performance management dovrà essere in grado di fornire gli strumenti per l’elaborazione e la pianificazione strategica delle performance aziendali, consentendo grazie alla disposizione ed il monitoraggio dei dati un’accelerazione del processo decisionale ed una più corretta elaborazione dei costi e dei ricavi dei diversi processi produttivi e della redditività aziendale.

Esistono in commercio diversi software di corporate performance management che in maniera semplice, configurabile e personalizzabile, facilitano ai manager la raccolta, l’analisi e la lettura di questi dati ai manager aziendali, fornendo un’ineguagliabile supporto per la lettura delle performance aziendali, l’elaborazione di future strategie di investimento, distribuzione di risorse, elaborazione degli obiettivi e correzione dei processi aziendali.

Un software di corporate performance management dunque è uno strumento fondamentale di supporto ai processi decisionali all’interno di un’azienda in quanto attraverso la raccolta e la rielaborazione dei dati riesce a fornire anche preziose proiezioni sul futuro andamento di determinati processi aziendali.

Giulia Menicucci  -  20 settembre 2015  -  Nessun commento

I costi dell’ignoranza informatica nelle Aziende

L’ignoranza informatica è un lusso che ti puoi permettere?

Nel 2003 venne diffuso uno studio AICA-SDA Bocconi che aveva per titolo “Il Costo dell’Ignoranza Informatica nella società dell’Informazione”. L’argomento era, ed e’ tutt’ora, estremamente attuale: questa Italia che arranca faticosamente dietro ai partner europei e mondiali per percentuale di informatizzazione, copertura di connettività a banda larga ed utilizzo del Web sa di essere anche molto carente per quanto riguarda la formazione informatica a livello generale.

E questa carenza, cari manager e imprenditori, costa. L’ignoranza informatica costa alla vostra Azienda più soldi di quanto possiate immaginare.

Il successo di questo studio, che non per nulla è stato replicato e settorizzato nel 2004 per quanto riguarda la Sanità, nel 2005 per il settore bancario, nel 2008 e nel 2011 per la Pubblica Amministrazione, è stato quello di mettere il dito in una piaga che fino ad allora si faceva finta non esistesse, e che ancora oggi si cerca di ignorare non perché inesistente o non sufficientemente rilevante, bensì perché troppo problematico da risolvere.

Il primo studio del 2003 – dieci anni fa – stimava per l’ignoranza informatica un costo annuo di 18,9 miliardi di euro per l’intero sistema economico italiano. Questo costo nel 2008 assumeva la forma di 1.500€ per ogni addetto aziendale ogni anno. Oggi, quattro anni dopo, quanto varrà?

Ma di cosa stiamo parlando esattamente? Cos’e’ che costa alla mia Azienda tutti quei soldi? Possibile che una cosa stupida come non saper usare il PC possa portare tanti guai? Il mio business non c’entra nulla con i PC, li usiamo solo per fare le bolle e le fatture!

Il primo sintomo di questa malattia è proprio quello di non rendersi conto della sua esistenza e della sua importanza.
Chiunque non si renda conto che senza l’informatica (e ormai potremmo aggiungere: anche senza il Web) la sua Azienda oggi non ha possibilità di sopravvivere, sta già automaticamente pagando un altissimo costo per questa sua incapacità di vedere realmente come stanno le cose. Senza un PC, un software gestionale, un sistema di comunicazione di posta elettronica e tante altre cose la nostra Azienda non solo non è in grado di reggere il passo con la concorrenza ma diventerebbe quasi incapace di veicolare il nostro prodotto o servizio alla clientela. Sappiamo bene tutti che ci sono ancora molte Aziende che non devono usare nessun strumento informatico per la propria produzione. Ma per mantenere l’archivio clienti? Gli acquisti e le comunicazioni con i Fornitori? Lo stato del magazzino, l’emissione delle bolle, la fatturazione e tutto quello che è richiesto per effettuare una vendita?

L’informatica oggi avvolge tutto il mondo. Soprattutto quello delle Aziende.
Capito e accettato questo concetto diventa facile capire come mai l’impossibilità di utilizzare al meglio gli strumenti informatici causa un danno e dei costi.

Se il mio dipendente non sa saldare decentemente, in un’ora produrrà meno schede elettroniche rispetto a quante me ne aspetterei. Se non sa scrivere bene, scriverà meno e peggio di quanto mi aspetterei. Il risultato è che produrrò di meno o quello che produrrò sarà più facilmente soggetto a malfunzionamenti, revisioni, e in generale problemi.

Ecco dove questa problematica causa dei costi: nel rapporto tra i risultati prodotti e quelli che sarebbe lecito aspettarsi. Quando questo rapporto va in negativo, l’Azienda perde di fatto dei guadagni.
Aggiungiamo al mancato fatturato il costo del singolo dipendente: di fatto un dipendente non appositamente formato lo pago più di quanto in realtà egli vale.

Non è mai facile procedere all’alfabetizzazione di una popolazione. Ci sono alcuni fattori che costituiscono una spinta positiva:

  1. la grande diffusione di apparecchiature elettroniche nelle case e tra le famiglie

  2. il fatto che parliamo di un contesto lavorativo piuttosto che di uno privato, dove le ragioni aziendali possono imporsi sopra alle resistenze di chi, tra manager e dipendenti, per varie ragione non ama l’idea di cambiare

Altri fattori costituiscono l’effettiva barriera all’apprendimento:

  1. molti lavoratori italiani sono cresciuti con l’idea che il lavoro quotidiano ideale (non quello che porta più soddisfazione, ma quello che porta meno problemi) debba essere fisso e ripetitivo, con determinati compiti che prevedano meno situazioni anomale possibile

  2. la paura di acquisire nuove responsabilità per le quali si potrebbe venir incolpati di errori o incompetenza

  3. la complessità e diversità di molti ambienti informatici rispetto alla mentalita’ umana

Ci troviamo di fronte alle solite problematiche che bisogna affrontare ogni volta che si vuole imporre un cambiamento ad una società di persone.

Bisogna fare molta attenzione quando ci si approccia al problema dell’ignoranza informatica. Il problema è facilmente individuabile e quantificabile. Ma lo è anche la soluzione? E prima ancora di andare a cercare la soluzione: siamo sicuri di sapere esattamente qual’e’ il risultato che vorremmo e che dovremmo raggiungere?

Vogliamo potenziare i nostri dipendenti perché diventino delle schegge ad usare il PC e siano capaci di lavorare al 130% della loro capacità? No.
Vogliamo una Azienda dove noi del management possiamo fregarcene di PC e software e dove invece gli impiegati devono saper usare perfettamente entrambi – anche se noi non abbiamo nemmeno idea di cosa facciano nella realtà quei sistemi che abbiamo pagato decine di migliaia di euro? No.

Primo: è importantissimo – fondamentale – capire che il problema dell’ignoranza informatica appartiene a tutti i livelli del personale aziendale, dal megadirettore generale al tecnico della centralina d’allarme e alla stagista che fa data entry. Se anche una sola figura aziendale è informaticamente troppo ignorante, tutta l’Azienda ne risente.

Secondo: il problema dell’alfabetizzazione informatica non è a livello aziendale, ma della singola persona. Diciamolo in parole più semplici: non basta avere un reparto IT che accorre quando c’e’ bisogno e risolve le problematica 5 secondi dopo che queste sono comparse. Il problema non si risolve acquistando software galattico che a momenti ragiona per conto suo e poi chiamando il tecnico o il responsabile EDP ogni volta che bisogna stampare un report in orizzontale invece che in verticale. Dobbiamo essere noi e noi soli i risolutori dei nostri problemi informatici, altrimenti ignoranti siamo e ignoranti rimarremo.

Terzo: ignorare e procrastinare i problemi è dannoso per l’Azienda, anche da un punto di vista informatico. Se ho un problema e non riesco a risolverlo subito da solo e non posso farmi aiutare senza far perdere tempo anche ai miei colleghi, cosa faccio? La maggior parte di noi lo lascia lì. E’ sconcertante – e a volte divertente – pensare che ognuno di noi farebbe invece la cosa giusta davanti ad un caso di vita reale. Devo entrare in un centro commerciale e l’entrata è bloccata da una folla. Cosa faccio, mi fermo li’ per 2 ore finché la cosa non si risolve da sola? Oppure cerco di aggirare il problema per esempio entrando da un’altra parte o andando in un altro centro commerciale? La maggior parte delle persone, in ambito informatico, si ferma li’ e lascia che il problema distrugga la sua produttività.

Tutto questo va ad aumentare ogni ora di ogni giorno di ogni mese i costi che dobbiamo sostenere a causa della nostra ignoranza, e per impedirlo facciamo troppo poco. Non si tratta di affrontare i costi dell’ignoranza relativa a metodi o procedure o ottimizzazione di processi, bensì di tecnicismi ed operazioni che ormai – ci piaccia o no – siamo costretti a vedere come parte integrante del nostro lavoro quotidiano.
L’informatica è parte della nostra vita quotidiana fuori dal lavoro, e deve cominciare ad esserlo ancora di più sul nostro posto di lavoro.

Possiamo categorizzare i costi dell’ignoranza informatica in due rami:

  1. Costo da mancata evoluzione: per ignoranza e per paura si sceglie di non migliorare la propria Azienda, anche se si disponesse dei mezzi per farlo. Si preferisce rimanere in uno stato di arretratezza per paura del cambiamento e per confortarsi di avere tutto sotto controllo. E’ necessario capire che i cambiamenti si possono affrontare anche un passo per volta, studiando un percorso che ci permetta di abituarci e di assimilare il tutto ad un ritmo più umano.

  2. Costo da mancato utilizzo: pur avendo introdotto nuovi sistemi potenzialmente più performanti in Azienda si finisce col non usarli o col non usarli al meglio. In questo caso il problema riguarda l’utilizzatore finale, manager o dipendente che sia, il quale rifiuta l’innovazione. A volte questa reazione può essere giustificata per il fatto che il sistema informatico in questione è troppo tecnico e poco utilizzabile da un punto di vista umano, fattore che aggravia l’ostilità degli utilizzatori nei suoi confronti.

E’ piu’ facile risolvere un problema quando lo si conosce. Concediamoci quindi una carrellata delle situazioni piu’ tipiche che si verificano in Azienda.

“I PC devono semplificarmi il lavoro e non complicarmelo”
Questo è lo sfogo che più spesso si sente uscire dalla bocca di imprenditori e manager, i quali sentono molto la frustrazione di avere un ennesimo aspetto da dover curare e controllare oltre ai mille che già costituiscono il suo lavoro quotidiano. Si può essere assolutamente solidali con tale sfogo… se non fosse che nella maggioranza dei casi lui o lei per primo non sa quali sono i metodi con cui nella sua Azienda si svolge il lavoro, non li ha mai studiati o ottimizzati e ha lasciato ai dipendenti il compito di organizzare tutto, col risultato che di organizzato non c’e’ niente e che si naviga a vista. Esempio tipico di ignoranza: ignorare che l’informatica non è intelligenza creativa, e che non può autoadattarsi a seconda dei nostri desideri. Per poter informatizzare qualcosa, è prima necessario che quel qualcosa lavori bene da un punto di vista umano e di metodo. Poi l’informatica lo può rendere più o meno immediato ed automatizzato.

“Non lo so fare“, oppure “Me lo fai tu per favore che sei bravo”
Qui arriviamo al consueto, storico, immancabile scenario di chi preferisce scaricare la patata bollente a qualcun altro piuttosto che risolverla da sé. Finché a livello aziendale non si farà presente con sufficiente forza che ogni dipendente deve possedere adeguate capacità informatiche questo problema non sarà mai risolto. Gente che a casa possiede 5 smartphone, 3 tablet e altrettanti PC con i quali di notte si diverte a creare community con software open source o a entrare nella posta elettronica del vicino di casa per divertimento, improvvisamente di giorno sul lavoro si scopre informaticamente al livello di un artigiano di calzature dell’800.
Ricordiamoci che ogni volta in cui un dipendente scarica “per favore” un compito ad un altro dipendente l’Azienda paga due volte: il costo del primo dipendente che non ha effettuato il proprio lavoro e il costo del secondo dipendente che deve assumersi l’onere di un compito aggiuntivo. Tendiamo a considerare scusabili e normali queste situazioni perché le consideriamo da un punto di vista umano e consideriamo – giustamente – un valore la nostra capacità di aiutare i colleghi ed il prossimo. Questo scenario ha un senso quando si verifica la prima, la seconda, la terza volta, e quando in queste situazioni il collega più esperto insegna all’altro come effettuare il compito richiesto e quest’ultimo impara. Non quando la cosa si fa reiterata e il collega pigro approfitta dell’altro per farlo lavorare al suo posto.

“I computer sono roba da tecnici“, oppure “Non ci capisco niente di computer”
Terzo scenario tipico: l’ignoranza che si incarna come scusa dietro ad una motivazione che al giorno d’oggi non ha più senso d’essere. Come già detto, l’informatica oggi è penetrata in qualunque settore lavorativo, dall’agricoltura all’industria ai servizi. Ci sono floricoltori che possiedono sistemi tecnologici più avanzati di molte software house. Queste scuse non possono più essere accettate, nemmeno da parte di chi riveste funzioni non direttamente collegate all’informatica. Si può pensare che un manager debba richiedere l’intervento di un tecnico IT per configurare un nuovo accesso al tal database, ma non perché l’antivirus ha segnalato di aver eliminato una minaccia o perché il tal programma si è bloccato.

Quest’ultimo scenario è esemplificativo della vera natura della partita che le Aziende giocano nei confronti dell’ignoranza informatica: il fattore culturale.
Fino a quando non ci si renderà conto che l’informatica determina in maniera rilevante il lavoro di tutti noi, le nostre Aziende continueranno a spendere più di quanto dovrebbero, e il nostro lavoro a essere meno vincente di quanto potrebbe in realtà essere.

Ignoranza informatica significa non essere all’altezza delle aspettative che oggi il mondo del lavoro richiede ad ognuno di noi, indipendentemente dal settore nel quale operiamo e dalla funzione che rivestiamo. I computer e i dispositivi digitali sono parte della nostra vita quotidiana e, che ci piaccia o no, della nostra vita lavorativa.

Per ogni compito informatico nell’ambito del nostro lavoro che non sappiamo fare o che non sappiamo fare correttamente, la nostra Azienda paga direttamente o indirettamente un costo. Siamo culturalmente abituati a pensare che il non conoscere l’informatica sia un fattore di merito perché non ci accomuna allo stereotipo dello sfigato con gli occhiali davanti al computer, ma nel mondo del lavoro odierno è un fattore di demerito che danneggia noi stessi per primi.

Combattere l’ignoranza informatica significa innanzitutto combattere il fattore culturale che costituisce la prima importante barriera all’apprendimento. Nessuno deve sentirsi esonerato dal dovere di saper utilizzare i propri strumenti informatici nel miglior modo possibile.

I costi che l’Azienda finisce con sostenere sono di due tipi.

Il costo per mancata evoluzione si genera quando l’Azienda non coglie l’occasione di migliorarsi tramite nuovi strumenti informatici non per motivazioni economiche o di processo o altro, ma solo per la paura insita nel cambiamento.

Il costo per mancato utilizzo si genera invece quando, pur avendo tutti gli strumenti tecnologici per farlo, l’utilizzatore finale si rifiuta di cambiare in meglio i propri metodi lavorativi per pigrizia, rifiuto e paura di nuove responsabilità.

Per approfondire:

AICA – Il costo dell’Ignoranza Informatica

L’ignoranza informatica nella Pa locale costa oltre 205 milioni di euro
Marco Forlani  -  2 novembre 2012  -  Nessun commento

L’Azienda che vuole andare su Internet: una panoramica

Per le Aziende avere una visibilità su Internet è diventato ormai un obbligo. Poche realtà resistono imperterrite senza avere un sito e limitandosi (non sempre) ad una incomprensibile email presso un provider gratuito il cui indirizzo viene appiccicato al furgoncino.

Ho usato il termine “obbligo” non a caso. Non è più una scelta, è diventato un obbligo. Anche così, è raro che una Azienda (nella sua identità manageriale) capisca per conto proprio quando la presenza sulla rete possa essere una opportunità. Tutto quello che l’Azienda sa è che gli viene chiesto talmente tante volte: “Ma tu ce l’hai il sito web?” che rispondere di no oggigiorno vuol dire sporcarsi da soli la reputazione.

Così l’Azienda trova la prima agenzia pubblicitaria a disposizione, si fa fare un sito di cui non vuole sapere né struttura, né contenuti, nulla tranne l’indirizzo da scrivere sui bigliettini da visita.

Se non ci fosse stata la spinta della posta elettronica (che ha cominciato ad essere utilizzata per lavoro ben prima e ben di più dei siti web), vedremmo oggi molta meno presenza aziendale nel Web.

La mentalità è il primo importantissimo aspetto di cui tenere conto. Senza la mentalità giusta, si è spacciati. Fare qualcosa senza sapere cosa si sta facendo è il primo passo per chiudere la porta in faccia ai risultati.

La cosa era evidente già all’epoca dei primi siti ed è addirittura lampante ora che quell’era dal sapore indefinito che ci siamo abituati a chiamare “Web 2.0″ è ben oltre la maturazione: le Aziende vanno in Internet esattamente come se qualcuno avesse dato loro un negozio che si affaccia su una strada che si sa essere piuttosto trafficata.
Mettono in piedi una bella vetrina, ci piazzano tante lucine e, non sempre, sul vetro appiccicano annunci di sconti e di offerte speciali. Dopodiché si siedono dietro al bancone in attesa di qualcuno che entri. I più intraprendenti assumono anche qualche ragazzino perché vada in giro a dire ai suoi amici del nuovo negozio o perché indossino una maglietta con il nome dell’attività.

Peccato che Internet sia una rete, non una strada.

Il problema è che le Aziende vanno su Internet perché si sentono in dovere di andarci, non perché vogliono andarci, e finiscono con l’andarci nel modo sbagliato. Pensano che Internet sia come il mondo fisico e buttano tutta la loro energia nell’usarla come tale.

Accorgendosi poi dopo 5 anni che il loro sito web ha portato sì e no 10 prospect e un fatturato vergognosamente ridicolo.

Allora qual’è la mentalità giusta per andare in Internet?

Primo passo: rendersi conto di cosa realmente è Internet. Internet è una rete. Non è una strada, non è una fiera, non è televendita, non è un catalogo. Internet è fatta di collegamenti e di comunicazioni.

Secondo passo: rendersi conto che non c’e’ una dimensione aziendale ideale per andare su Internet. Grande impresa o microimpresa, multisede o casalinga, qualunque realtà imprenditoriale si può avvalere dei vantaggi offerti dalla rete. A patto di sapere come cercarli e come sfruttarli correttamente.

Terzo passo: rendersi conto che andare su Internet significa mettersi in gioco. E mettersi in gioco significa, il più delle volte, cambiare il modo in cui ci si è comportati finora.
Una Azienda generalmente non vede di buon occhio i cambiamenti. Lo dice l’esistenza stessa del concetto di “change management”. Proprietà, management, dipendenti, collaborati: nessuno di loro vede di buon occhio un cambiamento.
Riuscire a vendere su Internet significa per una Azienda tradizionale dover rivedere in modo estremamente più dinamico tante, tante, tante delle logiche che le appartengono. Sul Web le cose cambiano di mese in mese, spesso perfino di settimana in settimana. A volte arrivano innovazioni che spazzano via in dieci giorni tutto quello che si era fatto fino a quel momento. Non sono unicamente gli uffici marketing a doversi potenziare per via di una comunicazione da rendere più efficace e massiva, ma anche potenzialmente reparti di produzione, di approvvigionamento, di relazioni col Cliente. Tramite Internet possono concretizzarsi ipotesi di collaborazione abbastanza vantaggiose da dover richiedere profonde modifiche o trasformazioni ad apparati e processi produttivi.
Se una Azienda è in grado di prepararsi a tutto questo, se è in grado di cercare volontariamente questo cambiamento perché conscia di quanto possa portarla a diventare parte di una comunità mondiale, allora riuscirà a vendere su Internet.

Quarto passo: rendersi conto che su Internet non vendi solo prodotti o servizi, ma la tua stessa immagine e competenza. Se tutto quello che sai dare alla rete è la vendita di 10-100-1000 prodotti il cui ordine ti è arrivato da qualcuno che ha visto il tuo sito web, non stai realmente vendendo in Internet. Stai semplicemente usando la rete come uno dei tuoi canali di vendita. Lo stesso concetto “vendere su Internet” è concettualmente errato. Se la tua Azienda è inserita nella rete e collabora con la rete, non smetterai mai di vendere. La vendita diventa una conseguenza (ovviamente gradita) della tua identità di Azienda all’interno del mondo. Chiunque abbia a che fare con te via Internet non ha come primario interesse il prodotto che vendi, bensì “chi sei”. E questo “chi sei” non è l’insieme delle tue generalità anagrafiche o fiscali, bensì “cosa fai” e “cosa hai fatto finora”. Come affronti la quotidianità del mercato, quanto sai essere propositivo, quanto valore sei in grado di dare all’insieme. Può sembrare gravoso, ma lo è solo per chi è estraneo alla mentalità del “dare per ricevere”.

Quinto passo: a differenza del mercato economico del mondo reale, Internet è condivisione e non competizione. Cercare di competere in un ambiente prettamente di condivisione significa sprecare enormi energie per ottenere ben poco.

Una volta chiarita la propria mentalità, all’Azienda che si pone su Internet si apre un mondo sconfinato. E la domanda più strategica diventa: come orientarsi?

Ricordiamoci che aperta o meno, con la mentalità giusta o meno, una Azienda deve sempre e comunque cercare di far star bene il proprio fatturato. Il fatturato arriva dalle vendite e le vendite arrivano dai Clienti: bisogna trovare e farsi trovare dai Clienti. Questo meccanismo non si perde, nel fare business tramite Internet. Solo, diventa un tantino più articolato.

Nel mondo fisico tradizionale l’Azienda si è abituata a cercare direttamente i propri Clienti. Via telefono, via fax, via pubblicità, via fiere ed eventi e così via. Nel web questo approccio è meno funzionante. La grande mole di informazioni che la rete veicola è tale da aver prodotto fenomeni di umana intolleranza alla pubblicità. In Internet c’e’ tanto di tutto, quindi semplicemente proporre i propri servizi e i propri prodotti non basta più.

Fare business nella rete significa imparare a far venire da te i Clienti.

In quali casi un potenziale Cliente viene a cercarti volontariamente? Quando ha un bisogno e sa che tu puoi soddisfarlo. Ma cosa succede quando oltre a te ci sono altre Aziende che sanno soddisfare quel bisogno bene come fai tu?

Diventa necessario diversificare le azioni di attrazione del Cliente.

Il primo posto dove un Cliente bisognoso va a cercare un fornitore è sull’elenco. In Internet, gli elenchi sono i motori di ricerca. Non per nulla la tematica del posizionamento nei motori di ricerca è diventata uno degli aspetti più importanti negli ultimi anni.
I motori di ricerca non funzionano come gli elenchi tradizionali, bensì funzionano tramite “parole chiave“. Per farti trovare, hai bisogno di essere bene in vista per le parole chiave che possono portare a te il potenziali Cliente. Se hai una azienda che produce mobili, le parole chiave che hai bisogno di intercettare sono “cucina”, “soggiorno”, “produzione mobili”, “cambiare divano”, e cosi’ via: in pratica ciò che un ipotetico Cliente digiterebbe nel motore di ricerca per cercare fornitori di arredamento.

Il primo passo da fare è quello di assicurarti che i siti tramite i quali vendi i tuoi prodotti o servizi siano ottimizzati al meglio per i motori di ricerca. La tematica prende il nome di SEO (Search Engine Optimization), e sono molte le realtà che ad oggi offrono servizi in questo senso. Si tratta di una tematica tecnica che una Azienda può tranquillamente ignorare, a patto di trovare un partner affidabile in tal senso. La tematica SEO definisce delle “regole” tramite le quali i siti web aziendali devono essere realizzati fin dall’inizio o adattati in seguito, e che devono diventare valide anche per qualunque contenuto venga aggiunto nel tempo.

Più importante ancora del SEO esiste quella che viene definita come SERP (Search Engine Results Page). Questa è una metodologia, in quanto definisce una serie di comportamenti su come porsi e su come essere quotidianamente nel web. E’ la parte più difficile, quello che ti porta a scavalcare i tuoi concorrenti nelle posizioni dei motori di ricerca, ed è quello che la grande maggioranza delle Aziende non fa. Perché? Perché si tratta di quel famoso “mettersi in gioco” di cui parlavamo prima.

Non basta proporre i propri prodotti, perché moltissime altre Aziende come te fanno la stessa cosa ogni giorno. E’ necessario costruire attorno alla tua presenza nel Web una realtà e una reputazione tali per cui i potenziali Clienti scelgano te piuttosto che i tuoi concorrenti.
Come si fa?

La strategia che una Azienda dovrebbe seguire è in linea con ciò che il Web è nella realtà, in modo da poterne sfruttare al meglio tutte le potenzialita’:

  1. creare una presenza consolidata e continuativa

  2. delineare strategie di vendita tipiche del Web

Il primo punto è importantissimo: grazie ad una presenza studiata e realizzata con criterio anche il secondo punto riuscirà ad ottenere grandi risultati. Senza una presenza qualitativamente corretta si possono tutte le azioni di vendita via Web rischiano di ottenere risultati molto minori alle aspettative.

Come ottenere una presenza consolidata e continuativa:

  1. Costruendo un sito web come se fosse un palco dal quale parlare al pubblico, invece che una vetrina dietro la quale aspettare qualcuno che entri

  2. Usando il sito web aziendale e i profili sui social network per veicolare al mondo in forma periodica le news relative ai propri prodotti, gli eventi e le fiere che si organizza o cui si partecipa, le case studies delle realizzazioni più importanti. E’ essenziale pubblicare nè troppo nè troppo poco, e tenere a mente che il pubblico è formato da persone, non da entità senza cervello cui veicolare messaggi tanto per fare.

  3. Se l’Azienda si sente sicura della propria comunicazione può costruire un apposito blog nel quale incentrare news, eventi, fiere, case studies ma anche semplici testimonianze del lavoro quotidiano aziendale, delle sfide poste da ogni progetto, di impressioni o contenuti utili rilevati e interessanti da condividere.

  4. Costruendo eventuali siti aggiuntivi per ogni tematica o top product, che approfondiscano e attraggano pubblico per proprio conto.

  5. Veicolando periodicamente offerte e promozioni esclusive in grado di attrarre acquisti usando il Web.

  6. Instaurando con i propri Clienti acquisiti e non un dialogo diretto tramite i social network, tramite newsletter o forum di discussione. Va detto che bisogna pensare accuratamente a quali di questi mezzi possono essere effettivamente idonei per la propria situazione e quali invece sarebbe inutile utilizzare.

  7. Fornendo gratuitamente su portali tematici famosi e meno famosi contenuti che diano un po’ di valore a chi ne usufruisce insieme al link (il tuo link) dove andare nel caso si voglia di più. Quali contenuti? Estratti di manuali, white papers, studi, articoli divulgativi, dossier, versioni di valutazione o parziali di software o metodologie.

  8. Spargendo nella rete contenuti multimediali che mostrano come si usa e quali vantaggi porta usare il tuo prodotto o il tuo servizio, tramite ad esempio YouTube o social network di immagini come Flickr.

  9. Utilizzando le communities sopra esposte per chiedere periodicamente agli utenti di partecipare nell’ideazione di qualche particolare di un nuovo prodotto o servizio, o di esprimere la propria impressione relativamente ai vantaggi sperimentati, o di riportare la propria esperienza di utilizzo. Anche in questo caso non bisogna cominciare a bombardare il pubblico con la quantità, ma imparare ad attrarlo con la qualità.

Creata la propria presenza, quali sono le strategie di vendita che vengono utilizzate nel Web (ovvero: come faccio a trovare Clienti e acquisire ordinazioni)?

  1. Se tutto quello che è stato fatto in termini di presenza ha aderito a sufficienti specifiche SEO, il primo vantaggio è quello di ricevere visite e Clienti automaticamente tramite il traffico di ricerca. I risultati possono variare enormemente a seconda del settore e della realtà dei propri competitors.

  2. Creare ben legato alle pagine dei propri prodotti e servizi un E-Commerce dedicato per permettere l’acquisto online, o un sistema per avviare un contatto di acquisto veloce che non richieda troppi passi prima che il Cliente possa ricevere il prodotto o il servizio.

  3. Email marketing: ovvero mandare email pubblicitarie ai potenziali clienti. Un’idea geniale per chi vuole vendere, tremenda per tutti gli altri. Il fenomeno della SPAM ha minato ingloriosamente questo mezzo abbassandone moltissimo l’efficacia. Tuttavia, non sono pochi quelli che lo adottano e non sono pochi quelli che lo offrono. Bisogna prestare grandissima attenzione alle leggi in vigore in termini di privacy e relative alla nazione ove risiede il Cliente contattato. In generale è più fattibile per contesti B2B piuttosto che B2C, e viene tollerato più per la veicolazione a Clienti già acquisiti che non a quelli potenziali.

  4. Promozione tramite portali tematici: col tempo stanno nascendo molti siti in grado di veicolare la promozione aziendale rispetto a prodotti, news, case histories, comunicati stampa, eventi e così via. Avere una propria presenza in questi siti permette di intercettare parte del loro pubblico indirizzandolo verso il proprio sito web

  5. Vendita tramite marketplace: oggi comincia ad essere possibile vendere i propri prodotti tramite siti che raccolgono i fornitori di un medesimo settore formando una offerta globale al Cliente. Il settore più agevolato in questo senso è quello dell’elettronica di consumo, ma stanno nascendo ogni giorno nuove realtà.

  6. Annunci pubblicitari tramite Google o altri publishers: è quello che ha in parte sostituito il “vecchio” fenomeno dei banner pubblicitari. In soldoni si tratta di creare i propri annunci e, tramite il publisher, veicolarli attraverso un network di siti abbastanza ampio da raccogliere pubblico e quindi clientela. Anche in questo caso non basta più pubblicizzare solo il proprio sito web: è bene differenziare le campagne dedicandole ogni volta ad un prodotto o ad una promozione specifica.

  7. Annunci pubblicitari tramite Social Network: realtà come Facebook o LinkedIn raccolgono masse di utenti imponenti cui oggi è possibile rivolgersi con promozioni e annunci pubblicitari. La vera innovazione in questo scenario è la possibilità di profilare il proprio pubblico indicando per esempio fasce d’età o di cittadinanza particolari, evitando quindi di pagare le visualizzazioni a persone che difficilmente sarebbero interessate.

  8. In ultimo non si escluda il fattore benefico portato dall’eventualità di avere una parte dei propri dipendenti che collaborano attivamente su blog, social network o communities contribuendo con contenuti di valore e veicolando tramite la propria firma i link ai siti web aziendali.

Le potenzialità da cogliere nella rete sono tante, e ancora oggi sono poco sfruttate. La colpa principale è da parte delle Aziende che per mancanza di volontà lasciano sfumare tali opportunità, ma è pur tuttavia vero che mancano anche figure professionali in grado di seguire correttamente una Azienda in questo tipo di sviluppo. Non basta una web agency o un esperto di comunicazione a rendere brillante quel “mettersi in gioco” che fa la differenza. Serve qualcuno che abbia chiaro l’intento di fondare una strategia volta a rendere la presenza dell’Azienda nel Web un punto di riferimento per il settore dell’Azienda stessa, una presenza della quale la rete non debba più fare a meno.

Internet viene spesso visto dalle Aziende come un’immensa vetrina, soprattutto perché vogliono vederla in questo modo. Il concetto di vetrina è semplice e confortevole: la fai bella e poi devi solo aspettare che i Clienti vengano a te.

Ma Internet non è una vetrina: è una piazza. Ci sono delle vetrine, sì, ma stanno tutto attorno. La maggior parte di chi frequenta la piazza è al centro per parlare e condividere, e molte volte poi torna a casa senza nemmeno dare un’occhiata alle vetrine.

Se si riesce a mettere Internet nella giusta ottica, ci si rende conto di quanto può diventare preziosa per instaurare un rapporto continuativo con la propria clientela. La pura vendita diventa confronto e miglioramento reciproco, e tematiche chiave come il supporto pre o post vendita si snelliscono e assumono significati più ampi e meno dispendiosi.

Se si riesce ad abbandonare l’idea della vetrina si può scoprire come una adeguata comunicazione può diventare un eccellente canale di vendita. Ma bisogna anche stare molto attenti: il pubblico di Internet ha fatto i conti in passato con la sua dose di truffe e di aria fritta: senza un valore reale al di là dello schermo è oggi molto difficile riuscire ad acquisire una clientela soddisfacente.

Per approfondire:

Marco Forlani  -  25 ottobre 2012  -  Nessun commento

Ottimizzare il lavoro aziendale

Le Aziende italiane, e non solo quelle italiane, sono spesso vittime di un tragico problema. La continua corsa all’incremento di fatturato può essere tanto frenetica da convincerle che ottimizzare e curare la propria organizzazione interna sia di importanza secondaria. I dolori non si fanno attendere, in quanto una organizzazione lasciata all’entropia inevitabilmente si fa doppiamente più caotica nella metà del tempo rispetto al normale, e d’un tratto l’Azienda vede crollare se stessa e il fatturato che ha ricercato con tanta cura e fatica.

Ottimizzare le proprie procedure interne non significa necessariamente dover sborsare soldi su soldi o rivoluzionare in modo incomprensibile il metodo di lavoro proprio e dei propri collaboratori. Al contrario permette di fare meglio in tempi più rapidi.

Ogni Azienda è un mondo a sé, e questo vale anche per le possibili ottimizzazioni ai suoi metodi e ai suoi processi. Le ottimizzazioni più complesse possono essere trovate in quelle realtà che a causa della natura del loro business sono costrette a eseguire un lavoro poco schematico e in continuo adattamento rispetto a specifiche o esigenze del Cliente finale. Al contrario, le realtà che operano secondo obiettivi chiari e ben fissati hanno maggiori possibilità di intervenire a livello di metodologia. Ci concentreremo proprio su queste ultime, cercando di elencare alcune semplici tecniche di ottimizzazione.

Le realtà che legano il proprio fatturato alla soddisfazione di un obiettivo richiesto dal Cliente dovrebbero pensare sempre in termini di Progetto. Ogni commessa un Progetto, riconducibile quanto si vuole ad una metodologia certa e collaudata, ma sensibili di particolarità piccole o grandi che la rendono unica. L’attività aziendale diventa quindi una collezione di singoli Progetti, ognuno con una propria missione specifica da realizzazione secondo quelle che sono le sfumature della vision aziendale.

Imparare a lavorare per Progetti significa imparare a lavorare per obiettivi. Se si è in grado di far permeare la propria Azienda con questa consapevolezza si contribuisce con forza a disgregare le mentalità passive e annoiate di chi considera il proprio lavoro sempre uguale, giorno dopo giorno, e trasforma tempi di realizzazione sempre meno veloci in maggiore consapevolezza della qualità finale del risultato. Il lavoro quotidiano non ha più l’obiettivo di arrivare a fine giornata, bensì acquisisce quello di concretizzare il risultato migliore.

Lavorare per Obiettivi e per Progetto pero’ non basta. L’uomo è un animale che si adatta, e ha bisogno di stimoli per mantenere vivo l’interesse e la volontà di far bene. Una possibile ottimizzazione è quella di legare immediatamente i due ruoli chiave del Progetto e del compenso del singolo collaboratore. Premiare con compensi più alti chi all’interno del Progetto ha maggiori responsabilità, e non il titolo di studio più prestigioso, aiuta a trasformare la socializzazione del team di Progetto in una gerarchia il cui fine è quello della salute e della qualità del Progetto stesso. Aiuta a sviluppare una mentalità meritocratica, la quale una volta creata ripagherà l’Azienda con innumerevoli vantaggi.

Un altro aiuto prezioso, in grado di portare una forte spinta migliorativa ad ogni tipo di Progetto, è quello di legare un compenso extra al raggiungimento degli obiettivi prefissati. L’extra non deve essere visto come uno strumento per ottenere di più: sappiamo tutti che nel mondo reale si sono verificati più casi di Progetti fuori tempo e fuori budget rispetto a Progetti on-time e on-budget. Fissate i tempi e i costi del Progetto realisticamente e tenete conto di tutti i ritardi accettabili. Poi fissate un bonus che il team potrà incassare se il Progetto rispetterà i tempi e i costi prefissati. Unitamente ad un normale supervisione per identificare e bloccare eventuali vizi nella realizzazione del Progetto, questo accorgimento porterà il team a lavorare con più attenzione riguardo tempi e costi, ed eventuali componenti del team troppo pigri verranno più facilmente spronati dai colleghi stessi. Se l’idea di sborsare soldi in più vi fa ribrezzo, pensate a quanto dovrete sborsare in caso di ritardo o di sforamento del budget concordato.

Una volta concessa la carota, non abbandonatevi al sadico piacere di introdurre il bastone. Se avete una Azienda i cui collaboratori necessitano di essere spronati con le cattive per lavorare, avete dei problemi così gravi da rendere inutile ogni considerazione di ottimizzazione. Per essere sfruttati pienamente i collaboratori devono essere visti come professionisti, a prescindere dal loro ruolo in Azienda. Se il loro modo di lavorare presenta lacune rispetto a quanto viene richiesto, è necessario trovare il modo di colmare tali lacune. In tutti gli altri casi il collaboratore deve essere sì premiato quando lavora correttamente, ma deve anche essere responsabilizzato.

Usate i bonus e i compensi extra come leva per responsabilizzare il collaboratore. Rendete chiaro fin da subito che le condizioni per ottenere il bonus sono di aggiornare quotidiamente gli strumenti di time reporting e di avanzamento lavori che gli mettete a disposizione, e di partecipare attivamente alle community aziendali interne che avete preparato perché la conoscenza venga condivisa tra tutti e diventi così patrimonio comune. Chi non intende essere collaborativo perde ogni diritto ai propri bonus, i quali andranno equamente distribuiti tra gli altri componenti del team che invece collaborano a far diventare più competitiva e forte l’Azienda.

Mettete una o più figure di supervisione globale su tutti i Progetti, in modo da poterne esaminare i progressi o le difficoltà da un punto di vista esterno al team e che procedano ad aggiornare quotidiamente lo stato del singolo Progetto. Create una qualche sorta di bacheca comune dei Progetti, cartacea o elettronica, accessibile in qualunque momento a tutti: aiuterà ogni singolo collaboratore a sentirsi parte del tutto e lo spronerà a curare meglio i Progetti cui partecipa in modo da non fare una brutta figura davanti a tutti.

Create una figura senior in grado di agire come angelo custode dei Progetti di una determinata area, e incaricatelo di curare la salute dei team di Progetto. Partecipando alle riunioni ora di un Progetto ora di un altro, verificando gli avanzamenti, parlando con i singoli Capi Progetto e consigliandoli, incoraggiando quando bisogna stringere i denti e rappresentando la parte della colonna forte e incrollabile quando ci sono problemi.

I vostri collaboratori, nella loro globalità e non singolarmente, sono lo strumento più potente e importante che avete in Azienda. Come ogni strumento deve essere mantenuto in buona salute, essere sottoposto ad un minimo stress, e deve lavorare all’interno di un sistema ben progettato i cui possibili problemi e falle sono state previste e attenuate da apposite procedure pronte ad entrare in gioco in caso di necessità.

Ottimizzare significa migliorare. Una Azienda che lavora facilmente è più produttiva e competitiva rispetto ad una Azienda che lavora con difficoltà.

Cosa significa ottimizzare? Significa innanzitutto prendere atto che ciò che esiste oggi è migliorabile, e significa saper mettere da parte la paura di cambiare. La strada che porta al cambiamento non deve essere una strada oscura che non si sa dove porta; al contrario deve essere pianificata e progettata in modo da sapere esattamente dove condurrà ogni singolo passo.

Non ci sono ricette pronte o sistemi magici in grado di ottimizzare una Azienda dalla sera alla mattina, o senza approntare cambiamenti. L’ottimizzazione è un percorso che ha un inizio e una fine ben precisa, dopo la quale se lo si desidera si possono intraprendere ulteriori ottimizzazioni.

Non sono macchine nuove o software costosi a ottimizzare una Azienda. Sono i metodi, il modo con cui vengono affrontate le sfide del lavoro quotidiano, le mentalità con le quali si guarda al risultato.

Marco Forlani  -  28 marzo 2011  -  Nessun commento

Problem Tracking: dai problemi alla Conoscenza

Chi si occupa di programmazione conosce bene il significato del termine “bug”. In generale chi ha avuto modo di scontrarsi almeno un po’ con le problematiche informatiche ne ha sentito parlare almeno occasionalmente.

Il “bug” e’ un malfunzionamento inaspettato per risolvere il quale bisogna individuare la causa che lo genera. Data la complessità di molti ambienti e programmi informatici questo concetto è fonte di preoccupazione, fatica e lavoro da decenni nel settore. Dal momento che questo è un mondo imperfetto e dal momento che l’informatica appartiene a tale mondo, praticamente nessun programma è esente da bug (tranne quelli estremamente semplici e quelli estremamente manutenuti).

Come da ogni necessità si viene a creare prima o poi una soluzione, così nell’informatica da anni e anni sono presenti ambienti per la raccolta e la gestione dei “bug”. Sistemi del genere consentono:

  1. di raccogliere la problematica non solo dall’interno dei team di sviluppo ma anche dall’esterno (team di testing, risorse non tecniche, perfino il Cliente finale)

  2. di profilare correttamente un determinato problema assegnandolo ad una o piu’ categorie

  3. di inoltrare direttamente la problematica al team o alla persona incaricata di gestire tutte le problematiche di tale categoria, evitando di coinvolgere inutilmente chi si occupa di altro

  4. di seguire e di raccogliere gli stati di avanzamento della risoluzione del problema

  5. di notificare l’avvenuta risoluzione del problema

Se guardiamo ai punti citati qui sopra eliminando dalla nostra mente la parola “informatica”, ci accorgiamo che sono immediatamente applicabili a qualunque settore o ambiente aziendale. Tutte le aziende del mondo hanno problemi, che siano essi quotidiani o sporadici, complessi o semplici, unici o ripetuti.

I sistemi di Certificazione per la Qualità si sono accorti da tempo del beneficio portato da un simile metodo di gestione delle problematiche, raccomandandolo nelle proprie specifiche. Chi ancora si accorge poco di quanto valore esso può avere sono proprio, purtroppo, le Aziende; abituate a lavorare su necessità piuttosto che su metodo, faticano ad assorbire innovazioni del genere.

Introdurre in Azienda un sistema di “problem tracking” può portare a diversi importanti benefici:

  1. L’Azienda si pone nei confronti delle problematiche con un’ottica di metodo, invece di subirle

  2. Ogni problema si instrada in un workflow tale da ottimizzare il suo percorso verso la risoluzione evitando possibili dispersioni o ritardi

  3. L’Azienda comincia immediatamente a raccogliere statistiche circa le categorie dei problemi più frequenti, di quelli che richiedono più tempo per essere risolti e affrontati, di quelli che più degli altri mettono in crisi i rapporti col Cliente e il benessere del business

  4. L’Azienda introduce intimamente nei propri processi un flusso di gestione e di supporto che può essere facilmente aperto all’esterno verso i propri Clienti, creando di fatto un sistema di supporto vero e proprio

  5. L’Azienda comincia a costruire la propria base dati di conoscenza nella quale raccoglie tutti i problemi occorsi e, soprattutto, le soluzioni che sono state ideate per farvi fronte

Quest’ultimo punto è realmente importante. La base di conoscenza è per l’Azienda il valore più grande e critico: senza la conoscenza dei propri metodi di produzione o di realizzazione di ciò che viene venduto, senza la conoscenza del proprio settore e della propria concorrenza, un’Azienda è persa. Troppo spesso la conoscenza aziendale è frammentata nelle varie menti delle persone che la compongono, col risultato di andare incontro a fortissimi problemi nel caso in cui una o più di esse lascino l’attività.

Introdurre un sistema di “problem tracking” aiuta le Aziende non solo a risolvere un’esigenza (risolvere il problema il più presto possibile col minor sforzo possibile), ma anche a trasformarla attivamente nella costruzione di una base dati di conoscenza che altrimenti richiederebbe tempo e fatica per essere realizzata. Una volta instaurata la base dati della conoscenza aziendale questa non farà altro che crescere, e tutti i dipendenti ne potranno beneficiare: quelli anziani troveranno immediatamente i dati relativi alle situazione occorse negli anni, e quelli nuovi troveranno immediatamente metodi per risolvere problemi e necessità per le quali altrimenti dovrebbero acquisire conoscenza da colleghi e procedure.

Poter tracciare i problemi che si verificano periodicamente nella tua Azienda, interni o esterni che siano, permette di avvantaggiarti rispetto alla loro risoluzione e alla loro prevenzione.

Un problema affrontato frettolosamente e poi dimenticato è qualcosa che, se dovesse accadere nuovamente, ti colpirà con la stessa forza della prima volta; un problema tracciato e documentato sarà un problema più semplice e veloce da risolvere, qualora dovesse manifestarsi nuovamente.

Documentare e tracciare problemi e soluzioni non significa rallentare la tua attività per consentire a qualche dipendente di redigere documenti o schemi che forse un giorno serviranno o forse no.

I sistemi informatici moderni vengono in tuo aiuto consentendoti di portare nella tua Azienda tutta la conoscenza derivante da un problema e dalla sua soluzione in modo veloce, automaticamente organizzato e sempre disponibile a tutti.

Per approfondire:

 Sistemi di “Bug Tracking”
Marco Forlani  -  2 dicembre 2010  -  Nessun commento

Decision Making – Panoramica di alcune semplici tecniche

L’arte del “Decision Making” si compone di strumenti e metodi per facilitare l’individuazione della decisione migliore, quella in grado di risolvere un problema, di sbloccare una situazione, di far luce sulla strada da intraprendere per arrivare ai propri obiettivi.
Rispetto alle tecniche di “Problem Solving” gli strumenti del “Decision Making” tendono ad essere più complessi. Il “Problem Solving” non si preoccupa più di tanto di analizzare e correlare i dati: gli basta arrivare alla soluzione. Il “Decision Making”, invece, si concentra molto di più sulla qualità delle singole scelte. Non basta sceglierne una: quella scelta deve essere la migliore tra tutte.

Esaminiamo brevemente insieme quali sono alcune di queste tecniche.

La prima è l’”Analisi dei Costi e Benefici“. Essa aiuta a decidere se conviene intraprendere un certo cambiamento oppure no, calcolando la somma di tutti i benefici che il cambiamento porterebbe e sottraendo da tale somma il costo totale del cambiamento stesso. Se i punteggi dei benefici e dei costi vengono assegnati con un’ottica finanziaria (ovvero facendoli combaciare con gli effettivi valori dei costi e dei ricavi), il risultato sarà immediatamente più chiaro.

Una tecnica articolata ma allo stesso tempo relativamente semplice è la “Grid Analysis“, efficace quando si hanno molte buone alternative tra cui scegliere e differenti fattori di cui tenere conto. La tecnica richiede quanto segue:

  1. creiamo una tabella indicando su ogni riga le opzioni tra cui bisogna scegliere, e nelle colonne i fattori di cui tener conto

  2. assegniamo ad ogni colonna un punteggio da 1 a 5 rappresentante la sua importanza

  3. assegniamo ad ogni riga un analogo punteggio di importanza

  4. per ogni cella riga-colonna moltiplichiamo tra loro il punteggio della riga e quello della colonna

  5. sommiamo i punteggi cosi’ ottenuti per ogni riga: la riga che ha il punteggio maggiore rappresenta la decisione più vantaggiosa

Una variante della “Grid Analysis” è la “Paired Comparison Analysis“, sebbene il suo metodo sia in effetti differente. Aiuta a comprendere l’importanza di una serie di opzioni correlandole l’una all’altra, ed e’ utile quando non si hanno dati oggettivi sulla base dei quali decidere la linea d’azione migliore.

  1. creiamo una lista delle opzioni da comparare e assegniamo una lettera ad ognuna di esse

  2. creiamo una tabella mettendo sia come righe che come colonne la lista delle nostre diverse opzioni

  3. la cella dove si incontrano riga e colonna di ogni opzione deve rimanere vuota

  4. anche le celle dove si ripeterebbe un confronto già avvenuto andranno lasciate vuote

  5. per tutte le altre celle compariamo l’opzione che si trova sulla riga con quella nella colonna e per ogni cella decidiamo quale delle due opzioni è quella più importante; scriviamo nella cella la lettera di quest’ultima, e assegniamole un punteggio tra 0 (nessuna differenza tra le due) e 3 (differenza massima)

  6. consolidiamo il risultato sommando tutti i valori delle celle per ogni opzione. Alternativamente, possiamo trasformare per maggior chiarezza questo punteggio in una percentuale sul punteggio totale

Complicando un po’ le cose giungiamo alla tecnica denominata “Alberi Decisionali“, la quale ci consente di:

  1. definire chiaramente il problema e tutti gli aspetti ad esso collegati

  2. analizzare le possibili conseguenze di una decisione

  3. quantificare il valore dei tentativi e la probabilità di realizzarli

  4. prendere la decisione migliore

E’ quindi particolarmente indicata per scegliere tra differenti strategie, soprattutto quando si hanno a disposizione risorse limitate.
Il metodo legato a questa tecnologia è un po’ articolato, ma riassumendo richiede di disegnare un albero a partire da un quadrato iniziale creando un ramo per ogni possibile soluzione. Al termine del ramo andrà aggiunto un cerchio (nel caso in cui il risultato di quella decisione sia incerto), un altro quadrato (nel caso in cui la soluzione porti ad un’altra decisione da prendere) oppure niente del tutto (nel caso in cui la soluzione non sia né incerta né comporti ulteriori decisioni). Una volta disegnato l’intero albero delle decisioni, bisogna valorizzare ogni alternativa con un punteggio (è possibile usare una scala a piacimento, ad esempio la classica 1-10), e bisogna indicare per ogni sottoramo di un nodo cerchio o quadrato la probabilità che si avveri (tenendo conto che la somma dei sottorami deve essere sempre 100%). A questo punto si parte dalla fine dell’albero e risalendo verso l’inizio si calcola il valore di ogni nodo a cerchio e di ogni nodo a quadrato: l’opzione che identifica il beneficio più grande rappresenta la decisione migliore da prendere.

Tutti siamo capaci di prendere decisioni e ne prendiamo in quantità durante le nostre attività quotidiane seguendo il semplice principio: “mi avvantaggia fare in questo modo, o in quest’altro?”.

Ma prima o poi capita a tutti di trovarsi interdetti di fronte ad una decisione per nulla ovvia: potremmo essere in una situazione per la quale non riusciamo a definire chiaramente le scelte che abbiamo a disposizione, oppure potrebbe essere una situazione per la quale tutte le decisioni sembrano egualmente buone o egualmente cattive.

Per i casi decisionali più complessi esistono tecniche e metodi in grado di aiutarci a focalizzare con maggiore attenzione quali sono le nostre necessità ed i nostri obiettivi per la situazione che dobbiamo affrontare, e ad analizzare in modo più preciso i vantaggi che ci porta una scelta piuttosto che un’altra.

E’ importante tenere in mente che l’atto di prendere una decisione porta inevitabilmente un cambiamento sia per noi, sia per chi si troverà nel raggio d’azione che la decisione comporta. Specialmente in ambito aziendale una decisione raramente contenta tutti gli attori in gioco.

E’ necessario ricordare che la decisione viene presa per raggiungere un ben determinato fine, il quale dovrebbe essere un miglioramento per l’Azienda. L’eventuale malcontento che si può generare a seguito di una decisione può essere ignorato se sufficientemente debole, o può diventare a sua volta un generatore di problemi per i quali potrebbe essere necessario nel breve o nel lungo termine prendere ulteriori decisioni.

Un buon Decision Maker cerca di includere questa visione fin da subito nella propria analisi, in modo da minimizzare gli impatti negativi e quindi il lavoro extra che possa generarsi da essi.

Per approfondire:

 Strumenti e tecniche di Decision Making (in Inglese)

 Alcune tecniche illustrate da Wikipedia (in Inglese)

 Libro online: “Decision making: an organizational behavior approach” (in Inglese)
Marco Forlani  -  29 novembre 2010  -  Nessun commento

Problem Solving – Panoramica di alcune semplici tecniche

Attraverso il “Problem Solving” è possibile arrivare alla soluzione di un problema applicando uno o più metodi. Ma quali sono questi metodi? esaminiamone insieme alcuni tra quelli più a portata di mano per relativa complessità.

Il primo metodo che è possibile applicare al nostro prolbema è quello di cercare di ridurlo ai minimi termini partendo direttamente dalla sua forma teorica: un problema non è altro che una serie di ostacoli che si frappongono tra noi e il nostro obiettivo. Rimuovendo gli ostacoli uno per uno, si dovrebbe giungere alla rimozione completa del problema.
Sembra semplice, ma attenzione: non sempre funziona. Dipende fortemente dal problema stesso e dagli ambiti in cui si muove. Di conseguenza è importante chiedersi prima ancora di cominciare: quello che sto esaminando è uno di quei casi in cui mi basta rimuovere gli ostacoli, o ci sono altri fattori in gioco?

Una volta consci degli aspetti più generali del problema possiamo procedere ad individuare la strategia di risoluzione più adatta.

Uno dei metodi più antichi e ancora più efficaci è il caro vecchio “Dividi et Impera“: spezzando il problema in sottoproblemi (ad esempio uno per ogni ostacolo), è possibile risolverli individuamente e avremo risolto il problema. Questo metodo è piuttosto semplicistico e ha la pecca di ereditare la vulnerabilità di base del considerare la soluzione come la mera sconfitta dei singoli ostacoli. Può tuttavia risultare utile e soddisfacente in una quantità sorprendentemente alta di casi. Da non dimenticare la sua predisposizione alla ricorsività: ogni sottoproblema può a sua volta essere ridotto in sottoproblemi e superato risolvendo questi ultimi.

Un altro metodo assolutamente semplice è quello dell’analogia: un problema simile a quello attuale è stato già risolto precedentemente, da noi o da qualcun altro? Quale è stata in quel caso la soluzione? E’ una soluzione percorribile anche per il problema attuale? Se la risposta è sì, non occorre far altro che applicare una seconda volta tale soluzione. La semplicità e l’ovvietà di un metodo tanto semplice non deve far cadere in inganno: moltissimi problemi possono essere risolti in questo modo, e tale è il motivo per cui le knowledge base e i repository di conoscenza sono diventati tanto importanti: perché dover sprecare tempo ed energie per rielaborare una soluzione per un problema quando questa può essere semplicemente letta ed applicata? Questa filosofia ha dato vita ad una tecnica di Problem Solving chiamata “Risolvi ed analizza“, la quale ha proprio come scopo primario quello di documentare sia il problema riscontrato sia l’eventuale soluzione in modo da facilitare il lavoro a chi dovrà gestire il medesimo problema in futuro. (A nessuno viene in mente siti web molto noti in cui di fatto ognuno può trovare soluzioni condivise da chi prima di noi ha dovuto gestire il medesimo problema?)

Al di là dei metodi semplici esistono i metodi complicati, e qui dovremmo fare una distinzione tra quelli “tecnici” e quelli “creativi“. I primi si basano su algoritmi e flussi tali da condurre alla formulazione della soluzione, mentre i secondi si basano sull’innata creatività umana.
Gli approcci creativi sono i più veloci da illustrare, nonostante la loro enorme complessità intrinseca che ancora oggi fatichiamo enormemente a codificare a livello informatico.

Metodi creativi sono ad esempio la cosiddetta “Incubazione“: inseriamo nella nostra mente tutti gli elementi di un problema e poi smettiamo di pensarci lasciando libera azione alla mente inconscia. Gli effetti e l’efficacia possono variare a seconda della nostra cultura in materia e della nostra intuizione; non è sicuramente raccomandato nel caso in cui si abbia fretta.

Il “Pensiero Laterale” è una tecnica estremamente creativa che può aggiungere alla risoluzione del problema anche il vantaggio di formulare nuovi scenari utili a migliorare la situazione oltre la semplice soluzione. Il trucco è quello di pensare controcorrente, liberi da ogni schema, o casualmente, in modo da individuare relazioni e legami e scenari che per tradizione o per altri motivi non sono ancora stati considerati. Una volta trovata l’intuizione che porta alla soluzione avremo anche raccolto scenari da poter affiancare alla nostra situazione che ci si augura possano migliorarla ulteriormente.

Altre tecniche sono per esempio il “Reversing” (ovvero tentare di provare che il problema non può essere risolto) ed il “Brainstorming” (ovvero riunire un gruppo di persone focalizzandole tutte insieme sull’obiettivo e lasciandole libere di mettere sul tavolo tutte le idee che man mano escono dalle loro menti)

Le tecniche creative sono appassionanti e affascinanti, ma nonostante la possibilità di formulare soluzioni assolutamente calzanti ed efficaci esse solitamente presentano poca efficienza e soprattutto mancano in se stesse di opportuni strumenti di misurazione della qualità del risultato ottenuto. Da notare che questa mancanza non è intrinseca del metodo, ma semplicemente dell’abitudine con la quale questo metodo viene utilizzato.

Le metodologie tecniche offrono invece meno flessibilità (si opera unicamente nel conosciuto, difficilmente aiutano ad introdurre elementi nuovi) ma d’altro canto offrono strumenti più precisi riguardo al valore della soluzione ultima.
Citiamone unicamente un paio tra le più interessanti.

Esiste la “Root cause Analysis (RCA)“, la quale torna utile soprattutto per identificare la causa prima di un problema e non può quindi essere utilizzata per prevenirlo ma unicamente per risolverlo analizzandone le cause. Questa tecnica pone quindi maggiore attenzione alla misurazione della causa scatenante piuttosto che non ai singoli sintomi del problema; una volta misurate le cause lavora per rimuoverle evitando quindi che il problema si presenti. Questa è la filosofia del metodo; le tecniche per implementarlo sono numerose e possono essere molto articolate.

L’altra metodologia interessante è l’”Analisi Generale Morfologica“, la quale pone il proprio utilizzo nell’area dei sistemi di problemi multidimensionali e non quantificati. Qui ci muoviamo su sistemi molto complessi come la situazione politica o il marketing, sistemi che difficilmente possono essere espressi come modelli matematici. L’Analisi Morfologica, ben sapendo che in queste situazioni ogni singolo aspetto del problema globale può essere slegato in natura e conseguenze dagli altri, comincia dall’effetto finale del problema e risale i meccanismi interni del sistema prestando assoluta attenzione alle relazioni ed interazioni tra i singoli elementi del sistema stesso.

La capacità di risolvere problemi è uno degli aspetti che differenzia gli esseri umani dalle macchine e gli esseri viventi evoluti da quelli meno evoluti.

Ma come si fa a risolvere un problema?

L’esperienza ha portato il genere umano a definire nel corso del tempo tecniche e metodologie che se applicate possono portare rapidamente a soluzioni soddisfacenti, a prescindere dall’ambito in cui il problema si pone.

Non tutte le tecniche possono essere applicate ad un dato problema, e non tutte le tecniche ad esso applicabili danno un risultato accettabile.

A seconda delle situazioni è necessario identificare quale metodologia consente di arrivare alla soluzione migliore, tenendo conto di tutti i fattori in gioco.

Per approfondire:

 Strumenti e tecniche di Problem Solving (in Inglese)

 Alcune tecniche illustrate da Wikipedia (in Inglese)

 Libro online: “Problem Solving nelle organizzazioni“

 Libro online: “Complex problem solving: principles and mechanisms” (in Inglese)

Marco Forlani  -  29 novembre 2010  -  Nessun commento

I costi dell’ignoranza informatica

Di tanto in tanto chi si interroga in merito all’efficienza della pubblica amministrazione finisce con l’inciampare in una triste verità: l’ignoranza informatica di cui soffre la maggior parte dei lavoratori costa milioni e milioni ogni anno. Possiamo leggere dati e cifre in articoli sparsi nella rete, e la situazione è cronica a prescindere dalla nazione, dal settore e perfino dal ruolo.

Pochi si interrogano su come sia la situazione nelle aziende e nelle compagnie private; la nostra esperienza ci dice che le differenze non sono purtroppo molte. Anzi, là dove nelle pubbliche amministrazioni la situazione viene a volte affrontata con piccole spinte di formazione, spesso nelle aziende (soprattutto quelle medio-piccole e soprattutto in tempi di crisi) la situazione viene rimandata a data da destinarsi: mancano i fondi, la priorità è vendere, eccetera eccetera. Tutte ragioni molto valida, ma che hanno il difetto di lasciare il problema inalterato a generare costi via via sempre più importanti.

La tecnologia informatica è entrata così prepotentemente e così facilmente nella vita lavorativa di tutti noi da essere ormai presa come scontata. L’ignoranza informatica è un aspetto assolutamente sottovalutato dalle imprese. In alcuni casi viene addittura vissuta come una virtù: sono pochi quelli che si vergognano di non saper usare un computer, di non sapere cos’e’ o come fare un backup, di non avere un metodo di archiviazione dei dati veloce e ben ordinato. Le motivazioni sono tante, ma l’effetto è solo uno: meno i tuoi dipendenti sanno di informatica, più ti costano.

Quando un dipendente o un manager non sa come fare un grafico o una tabella possono succedere due cose: rinuncia a farlo, o cerca di farselo spiegare da qualche collega. Nel primo caso l’azienda perde in qualità, nel secondo perde tempo; in entrambi i casi perde soldi.

Quando un PC non si accende o un applicativo si blocca il dipendente o il manager allergico alla tecnologia chiama il reparto IT, interno o esterno che sia. Questo comporta il fatto che l’azienda necessiti di un reparto IT che dia supporto al dipendente o al manager. Spesso questo supporto si riduce all’atto di verificare che le spine siano ben inserite e il monitor sia acceso o a riavviare il computer; sembra assurdo, almeno fino a quando non si va a verifiare quante sono queste chiamate all’anno e quanto costa il relativo servizio. Tutti costi che l’azienda potrebbe risparmiare, se la persona in questione avesse la competenza sufficiente per eseguire queste piccole attività preliminari da solo. Se poi non sono sufficienti a risolvere il problema, allora il costo del reparto IT può essere pienamente giustificato.

Quando una azienda si rifiuta di comprare supporti adatti per effettuare giornalmente i backup dei propri dati, o non supervisiona gli stessi per verificare che si eseguano correttamente, o cerca di risparmiare sul costo di un Server rinunciando a un disco in piu’, possono passare anni prima che qualche supporto si rompa. Ma quando succede, l’azienda è persa: tutti i dati diventano irrecuperabili. Contabilità, progetti, anagrafiche dei clienti e dei fornitori, tutto. Quando un Hard Disk muore, c’e’ solo una piccola probabilità di riuscire a recuperare i dati al suo interno; e questa possibilità significa centinaia o migliaia di euro, senza peraltro la certezza di recuperarli tutti. E mentre i tecnici li recuperano, l’azienda cosa fa? Resta ferma: altri costi dovuti all’inattività parziale o totale.

Ogni azienda dovrebbe periodicamente verificare quali lacune informatiche sono presenti al proprio interno, quantificandone sia i costi immediati che quelli in prospettiva, per poi rapportare il tutto al proprio bilancio. Il mondo aziendale di oggi è un mondo che non può fare a meno dell’informatica e del Web. Non curarsi di questo aspetto fondamentale, o lasciarlo unicamente alla responsabilità dei tecnici, è immediatamente assimilabile all’atto di buttare per strada banconote su banconote.

E’ necessario che l’azienda analizzi:

  • le dipendenze informatiche dei propri processi

  • quanto ognuna di queste dipendenze informatiche potrebbe essere ridotta

  • la differenza di costo tra ogni dipendenza informatica non ottimizzata e la sua corrispondente ottimizzata

Il terzo punto ci da’ immediatamente la dimensione del risparmio che andremmo a guadagnare.

Ottimizzare una dipendenza informatica significa:

  • esaminare possibili alternative ai sistemi esistenti in grado di rappresentare costi minori senza comportare perdita di efficienza

  • impedire che i propri dipendenti e manager si lascino o pretendano di essere “coccolati” da chi si occupa dell’assistenza o della manutenzione IT e risolvano invece in prima persona i problemi più semplici o più immediati

Ad un livello più generale e pratico, come può fare una azienda per cominciare a risolvere i costi dell’ignoranza informatica?

  • una migliore verifica delle competenze informatiche all’atto dell’assunzione di un nuovo dipendente, o l’introduzione di corsi post-assunzione non di tipo generico ma specifici e mirati a quello che è lo scenario aziendale ed i mezzi informatici aziendali

  • la redazione e manutenzione periodica di procedure di emergenza per gli aspetti più critici, in modo tale da ridurre il più possibile i tempi e gli effetti di tale emergenza

  • redazione di manualistica con una logica per punti e ricca di immagini, in modo che il lettore sia guidato ad eseguire le azioni previste senza trovarsi spiazzato dai tecnicismi

  • fare formazione per errori: se si spiega ad un dipendente come va fatta una cosa questi non imparerà mai; se lo si mette davanti al problema esaminando e giudicando le soluzioni che propone per lui la formazione diventerà una esperienza acquisita, e quindi una conoscenza che sarà in grado di applicare autonomamente

  • simulare periodicamente situazioni di emergenza per mantenere vive nella mente e nella quotidianità dei dipendenti le conoscenze necessarie per affrontarle

  • utilizzare i mezzi del Web: sistemi di E-Learning, ricerca e condivisione di informazioni. Internet oggi è ricca di risorse a basso costo ad alto valore tecnologico e di conoscenza

Quanti dipendenti della vostra Azienda sanno capire se il loro PC è diventato improvvisamente lento per un reale problema tecnico o per un involontario errato utilizzo dei programmi installati?

Quanti manager nella vostra Azienda hanno sufficienti capacità organizzative e tecniche nell’archiviare e gestire i propri dati tali da rendere inutile l’acquisto di costosi software di reportistica o di archiviazione?

Se i Server della vostra Azienda si spegnessero all’improvviso, quanto tempo dovreste rimanere fermi in attesa di un tecnico in grado di diagnosticare la situazione e di permettervi di ripartire anche solo in parte?

Ogni anno le Aziende di qualunque settore e genere spendono milioni di euro in sistemi organizzativi e tecnici; di questi milioni una buona parte ha il solo scopo di sopperire all’ignoranza informatica dei dipendenti e dei collaboratori.

Nonostante la diffusione ormai capillare dei sistemi informatici e la loro importanza strategica per il successo dell’impresa viene fatto poco o nulla per assicurarsi che essi siano adeguatamente conosciuti e amministrati da chi li deve usare ogni giorno.

Questa mancanza ha influenza diretta penalizzante sulle prestazioni aziendali e, come se questo non bastasse, comporta spese e costi che potrebbero essere evitati.

Per approfondire:

 Progetti e Studi da parte di AICA

 Articolo da MondoDigitale.net
Marco Forlani  -  27 novembre 2010  -  Nessun commento

Problem Solving e Decision Making per principianti

Nella vita di tutti i giorni due cose sicuramente non mancano:

  1. i problemi

  2. la necessità di risolverli

Risolvere problemi significa prendere delle decisioni; decisioni che preferibilmente dovrebbero evitare di scatenare ulteriori problemi.

Prima di imparare a prendere decisione e risolvere i problemi, è necessario imparare a gestire questi ultimi. Gestirli sostanzialmente significa:

  1. imparare a riconoscerli: un pronto riconoscimento significa una azione più efficace e danni meno importanti

  2. imparare a prevenirli e, se possibile, ad evitarli: un problema evitato è un problema automaticamente risolto

  3. riuscire a valutare in modo immediato quanto danno hanno già creato e quanto danno potranno arrivare a creare

  4. decidere se è più conveniente affrontarlo subito oppure procastinarlo

  5. decidere se occuparcene in prima persona o se vale la pena affidarne la risoluzione a qualcun altro (senza che pero’ questo rischi di far estendere il problema o di non risolverlo)

Avete notato? Già semplicemente prendendo tra le mani un problema abbiamo, tra le altre cose, dovuto affrontare almeno due decisioni.

Perché nell’elenco qui sopra non compare il punto fondamentale “6) risolverlo”?
Perché la gestione non riguarda direttamente la risoluzione: quest’ultima può essere talmente complessa ed articolata da diventare pura arte e necessitare di una metodologia a se’. La tematica della risoluzione di un problema prende il nome di “Problem Solving“, e ha dato vita nel tempo ad una articolazione anche piuttosto estesa di procedure e metodi per la sua pratica. L’arte di prendere decisioni ha invece preso il nome di “Decision Making“.

Queste due discipline sono strettamente collegate tra loro: risolvere problemi comporta, come abbiamo visto, dover prendere delle decisioni. E prendere delle decisioni, sovente, comporta il fatto di saper risolvere problemi che non sempre si può evitare di far derivare dalla decisione presa.

Esistono pertanto entrambe le situazioni:

  • Gestione > Problem Solving > Decision Making

  • Gestione > Decision Making > Problem Solving

E’ per questo che parlandone le consideriamo insieme, nonostante ognuna di esse apra un mondo a sè.

In tutti i casi il punto cruciale iniziale è sempre stato, è e sempre sarà il reperimento (il più possibile accurato, sistematico ed efficace) delle informazioni riguardanti il problema. Senza un adeguato background della situazione le migliori tecniche di decision making finiranno col produrre decisioni che non porteranno al risultato sperato, e i migliori metodi di problem solving non elimineranno correttamente il problema.

Reperire tutte le informazioni in gioco, ognuna con il massimo grado di precisione possibile è, ovviamente, utopia; ma è questa utopia che dobbiamo comunque porci come obiettivo primario e perseguirla con il massimo dell’impegno. Senza questa base conoscitiva tutta l’operazione rischia di fallire ancora prima di essere intrapresa.

A questo punto è finalmente possibile affrontare il problema in modo da arrivare alle decisioni in grado di risolverlo.

L’arte del “Decision Making” è per l’appunto l’arte di saper prendere decisioni corrette.

La prima cosa che bisogna capire è che non esiste una definizione unica ed universale di “corretto”: tale concetto assume sfumature differenti a seconda del punto di vista di una persona rispetto ad un’altra. Quando due o più persone concordano tra loro su una “decisione corretta”, hanno semplicemente una visione talmente simile (non identica) della situazione tale da non suscitare contrasti.

Prendere una decisione è innanzitutto una azione il cui effetto è quello di sbloccare uno status quo. Questo deve essere considerato sopra ogni altra cosa: senza la decisione, nulla cambia. Ma tutti i cambiamenti sono giusti? Cambiare è sempre la cosa giusta da fare?

Un bravo Decision Maker deve saper valutare a seconda delle situazioni quale delle seguenti scelte è quella più vantaggiosa:

  1. trovare e prendere una decisione che cambi lo status quo

  2. lasciare le cose come stanno

  3. rimandare l’individuazione e/o la realizzazione della decisione ad un momento più vantaggioso

“Problem Solving“: è l’arte di risolvere i problemi nel modo più efficace ed efficiente possibile.

“Decision Making“: è l’arte di saper prendere decisioni corrette.

Spesso puo’ capitare di dover prendere decisioni in seguito ad un cambiamento dello status quo che non abbiamo né cercato né contribuito a creare.

Prima di dar retta al nostro istinto chiediamoci: la nuova situazione che si è venuta a creare mi danneggia veramente, o in realtà non mi coinvolge più di tanto o addirittura se mi fermo a pensarci bene mi avvantaggia?

Una attenta riflessione in questo senso può portare, a volte inaspettatamente, a risparmiare energie e tempo preziosi.

Per approfondire:

 Introduzione al “Problem Solving”

 Introduzione al “Decision Making”

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Marco Forlani  -  26 novembre 2010  -  Nessun commento

Senza immaginazione non avremmo nulla

Qual’e’ la piu’ importante e basilare qualita’ dell’essere umano?
Quante guerre d’opinione si sono scontrate su questa domanda, quante singole visioni dettate dal tornaconto personale vengono date a seconda di chi osa rispondervi…

Andiamo a guardare i fatti.
Innanzitutto, importante non significa necessariamente migliore. Una cosa indispensabile e’ importante. Il mondo va avanti da milioni d’anni generando qualita’ dall’indispensabile, e non viceversa.

Per arrivare a sviluppare qualita’ emotivo-spirituali, c’e’ bisogno di una intelligenza che sappia formularle o anche solo comprenderle. Di conseguenza, le qualita’ emotivo-spirituali di qualunque genere possono essere splendide e di qualita’ eccelse, ma senza l’intelligenza non esisterebbero: c’e’ qualcosa di piu’ importante di loro.

Per arrivare a sviluppare un’intelligenza viva, pronta e significativa abbiamo bisogno di almeno due cose: la capacita’ di apprendere ed il ragionamento. Senza una non serve a niente l’altra: io posso imparare a ragionare con la logica finche’ mi pare, ma se questo non porta ad un apprendimento cio’ che faccio sono solo calcoli fini a se stessi: niente di piu’ ne’ di meno di un elaboratore elettronico.
Intelligenza e’ una parola che in se’ non vuol dir nulla. La usiamo come metro di misura della superiorita’ dell’uomo sull’animale, dell’uomo sul mondo, dell’uomo su altri uomini. Ma in realta’ e’ gia’ dimostrato ampiamente come non sia una proprieta’ singola e indivisibile (al contrario, e’ composta da piu’ proprieta’ intellettivo-cognitive a seconda di vari contesti) e come non sia immutabile nel tempo (ma per questo basta banalmente osservare che, nonostante lo stereotipo che vuole un genio gia’ tale dalla nascita, una moltitudine di luminari e cervelloni al tempo della loro vita scolastica fossero scansafatiche, poco studiosi, ribelli, a volte addirittura considerati scarsamente intelligenti dai loro formatori).

L’intelligenza non sarebbe nulla senza il lavoro congiunto del ragionamento e della capacita’ di apprendere. Il primo e’ un meccanismo che gira e che macina concetti come una macchina. Nella seconda invece troviamo il cuore di tutta la faccenda: senza il ragionamento, la capacita’ di apprendere non vale molto. E’ come saper nuotare su un pianeta senz’acqua: una qualita’ senza scopo o applicazione.

C’e’ qualcosa che non e’ intelligenza e che tuttavia stimola (non integra, stimola) entrambe le componenti dell’intelligenza. Questo qualcosa e’ cio’ che ha consentito all’essere umano di sviluppare tutte le capacita’ che l’hanno portato a differenziarsi dal mondo animale, ed e’ alla base di ogni apprendimento che conduciamo. L’immaginazione e’ il cuore di tutte le riflessioni umane, il cuore di tutte le scoperte e di tutte le idee e delle ideologie che dalle idee scaturiscono.

In breve, senza la capacita’ di immaginare, di perdersi nelle nuvole o dietro a chimere inesistenti, senza la capacita’ di sognare, l’uomo avrebbe ben poco valore.

La sua intelligenza sarebbe sterile e finalizzata al puro calcolo, la genialita’ non esisterebbe e tutto cio’ che scaturisce dal desiderio (ambizione, competizione, sforzo) non esisterebbe a sua volta, basandosi il desiderio sulla sola e semplice ipotetica proiezione di se’ in un contesto piu’ vantaggioso. Il ragionamento di calcolo puro stesso non esisterebbe: come avrebbe potuto un primate sviluppare capacita’ cosi’ astrattive senza prima dotarsi di condizioni piu’ semplici di sopravvivenza, senza prima applicarsi grazie alla creativita’ e alla genialita’ ai semplici concetti di ruota, fuoco, cibo cotto, concetto di rotazione e di causa-effetto?

Chi afferma che sognare e’ solo una perdita di tempo, che giocare e immaginare e perdersi in mondi lontani e’ infantile e inutile, nega ipocritamente i millenni che costituiscono la propria storia. I nostri antenati primati si sono evoluti fino ad arrivare a noi grazie al gioco, al desiderio, all’immaginazione.

L’essere umano si e’ evoluto sempre e solo grazie ai propri sogni.
Se smettiamo di sognare, smettiamo di evolverci.

Torniamo ad esaminare piu’ da vicino la facolta’ che chiamiamo ragionamento, e che in modo imperfetto facciamo spesso corrispondere al piu’ elaborato concetto di intelligenza.
Il ragionamento in se’ e’ pura valutazione: si basa completamente sull’atto di formulare un contesto ipotetico al fine di raffrontarlo con una tesi di base.
E’ questo raffronto a consegnarci la conoscenza della veridicita’ o meno di cio’ che rende ipotetico quel contesto. L’ipotetico rende per un istante reale la nostra tesi e ci permette di osservare come questa viene assorbita dall’ambiente circostante.

Solo tramite l’ipotetico possiamo realmente toccare la realta’.

Solo tramite l’ipotetico possiamo apprendere che due piu’ tre non puo’ fare sei. Solo immaginando un mondo in cui non veniamo mangiati dalle tigri arriviamo a ragionare su come ripararci in modo che non possano arrivare a noi, o su come costruire uno strumento per ucciderle a nostra volta. Solo sognando che un giorno saremo capaci di volare tra le stelle saremo capaci di costruire una macchina che ci porti a farlo.

Questi concetti sono ben radicati gia’ nei metodi di apprendimento dei nostri cuccioli. Avete mai aiutato un bambino nei primi compiti di matematica, quando sta imparando le addizioni? Solo immaginando nella nostra mente due noci vicino a tre noci ci rendiamo conto che ci manca un’altra noce per averne sei. Questi sono calcoli che nel tempo diventano per noi banali, automatici, assolutamente scontati, ma essi sono stati la base sulla quale abbiamo da piccoli costruito la nostra capacita’ di valutare il mondo che ci circonda.

Il gioco, per decenni cosi’ vituperato e di recente riscoperto sia come pratica salutare che come metodo riabilitativo, e’ lo sviluppo allo stadio immediatamente successivo. C’e’ un perche’ nel fatto che i bambini giochino cosi’ spesso a “facciamo che io sono questa persona e facciamo che tu sei quell’altra”. Giochiamo agli indiani. Ai cavalieri. Raccontateci un’altra storia, e poi un’altra ancora… e’ l’immaginazione, e’ il calarsi in questi mondi ipotetici a fornire loro i primi preziosissimi strumenti su cui si sviluppa la capacita’ di valutazione, la quale scivola in modo naturale nel ragionamento per dare linfa e vitalita’ all’intelligenza e a tutto quello che ne consegue.

Solo se siamo capaci di sognare, e di credere nei nostri sogni, agiamo in armonia con l’universo nel quale siamo nati e dal quale siamo nati. E allora e’ l’universo stesso che ci aiuta a realizzare i nostri sogni e i nostri desideri.
Non sono solo belle parole: per capire la loro essenza bisogna semplicemente avere la forza di osservare la storia del genere umano, la quale ne e’ la dimostrazione piu’ lampante ed incontrovertibile.

L’immaginazione e’ lo strumento piu’ potente in assoluto che l’universo abbia infuso nell’uomo. Tramite l’immaginazione, tramite il sogno noi possiamo contemplare tutto cio’ che va oltre i nostri limiti percettivi, oltre i nostri limiti fisici. L’unica cosa che puo’ confinare questa splendida qualita’ sono i limiti mentali, variabili per ognuno di noi, i quali a loro volta sono di fatto cio’ che definisce la nostra singola intelligenza; ma anche in questo caso, l’immaginazione fa’ si’ che altri attorno a noi possano consegnarci la conquista di vette che personalmente non riusciamo a raggiungere, tramite la loro propria immaginazione e l’applicazione che essi ne fanno. E’ questo cio’ che contempliamo quando un quadro ci lascia senza fiato, quando una sinfonia ci cattura donandoci emozioni che non sapevamo nemmeno di poter avere: qualcuno ha socchiuso una porta cui noi magari non riusciremmo mai ad arrivare e tramite il suo sogno a nostra volta possiamo bagnarci della luce che esce da quella fenditura. Luce che benedira’ la nostra stessa mente incitandola ad andare oltre i propri limiti rendendole chiaro e reale che esistono percezioni piu’ fini, piu’ intense. La capacita’ di adattamento dell’essere umano fa il resto: la mente si autopredispone per accogliere piu’ informazioni, piu’ conoscenza, piu’ legami concetti che prima non erano mai stati affiancati e che ora trovano nuovi significati nella loro reciproca interazione.

Cos’è l’immaginazione? Perché è importante comprendere il suo ruolo nella nostra e nella vita di ogni persona vivente?

Siamo forme di vita basate sulla percezione: sono i nostri sensi a darci informazioni sulla quantità e qualità di ciò che ci circonda, e grazie a tali informazioni plasmiamo ogni giorno il nostro mondo.

L’immaginazione è il solo strumento in grado di portarci oltre la nostra percezione, di trascendere i nostri limiti. Non importa che i nostri sogni e i nostri pensieri siano distanti o meno dalla realtà che conosciamo: l’atto stesso di immaginare diventa una azione in grado di portarci istantaneamente ad un livello più alto del nostro essere.

Sognare, giocare, impersonare: sono azioni che non dovrebbero subire le risa del mondo lavorativo, ma che dovrebbero invece essere valorizzate per i loro importanti e reali meriti.

E’ l’immaginazione ed il sogno che spingono il singolo individuo ad eccellere verso un risultato che ancora non esistente, che sia il raggiungimento di un progetto o la creazione di una impresa. Sono il gioco e la simulazione che ci permettono di delineare quale sarà lo scenario migliore per il prossimo anno in termini di offerta e di ritorno dell’investimento.

Tutto sta nel dare al gioco e al nostro immaginare uno scopo e un fine: basta questo a trasformare un atto puramente ludico in un importante strumento di business.

Marco Forlani  -  30 ottobre 2007  -  Nessun commento
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